Al forno a fare la “pittaliscia”:
la contaminazione araba nella tradizione di Roseto è presente un po’ ovunque, dall’architettura al dialetto, alle tradizioni, ma è nella gastronomia che ci ha lasciato un segno tangibile e decisamente gustoso. Uno dei prodotti caratteristici della nostra gastronomia, infatti, è la Pittaliscia, un prodotto da forno le cui origini si perdono nei meandri della storia.
Secondo gli storici della gastronomia locale, in origine la Pittaliscia era una semplice pagnotta che veniva usata come verifica della temperatura ottimale del forno a legna per la preparazione del pane: era, cioè, un prodotto secondario del forno ritenuto di minor pregio rispetto al pane.
La ricetta si differenzia a seconda del luogo in cui per tradizione o esigenze essa si è sviluppata e ciò riflette l’eterogeneità del territorio Calabrese, che passa rapidamente dal mare alla collina fino alla montagna.
Ritroviamo riferimenti a prodotti dalle caratteristiche similari anche nelle tradizioni medio-orientali, dove per “Pita” o “Pitta” si intende un pane diffusissimo anche in Turchia e Grecia, vuoto al suo interno e perciò facilmente farcibile a piacere: la cucina calabrese, infatti, è frutto anche di contaminazioni con altre cucine e si è modificata nel tempo, attingendo alla propria cultura e tenendo conto anche di quella dei popoli che l’hanno attraversata. Il termine stesso deriva dai Balcani e in special modo alla cucina greca.
La peculiare specificità della “Pittaliscia di Roseto Capo Spulico” consiste innanzi tutto nella sua caratteristica assenza di farcitura alla produzione ed alla vendita: la sua forma “a ciambella” dal buco centrale di ben 5 cm la contraddistingue da qualunque altra produzione similare nel Sud Italia. L’attributo “liscia” si riferisce proprio al suo essere vuota internamente, senza mollica, adatta a divenire “contenitrice” di verdure o dei deliziosi salumi a marchio De.Co., accompagna i pasti come dessert se abbinato a marmellate e confetture o diventa pasto stesso.
Secondo le antiche tradizioni, tramandate di generazione in generazione, la Pittaliscia si prepara utilizzando farine di grano autoctono e lievito madre, che si rigenera giorno per giorno utilizzando i metodi tramandati dalla tradizione locale. Il lievito viene “accudito” con estrema cura, e si condivideva tra le famiglie come un bene prezioso. Per scaramanzia, però, non si poteva cedere oltre il tramonto e il processo di rigenerazione del lievito, secondo la tradizione popolare, si doveva interrompere i primi 5 giorni del mese di maggio per evitare di rovinarlo. Ancora oggi queste tradizioni vengono rispettate con estrema diligenza da parte dei produttori locali e delle tantissime “massaie” che continuano a prepararla con questi antichi metodi. Ora, però, è il momento di mettere le mani in pasta e di creare la vera e unica Pittaliscia rosetana, prodotto identitario della gastronomia locale. Grazie ai consigli della fornaia, custode della ricetta autentica di questo prodotto da forno, potrai imparare l’arte della vera panificazione “Made in Roseto Capo Spulico”. E poi, questi prodotti dovranno pur essere consumati…